È la
durata massima di una canzone pop/rock. Il tempo di una mezza sigaretta, un caffè bollente che trangugerai al sapor di plastica rovente, una mezza pipì, il resto te lo tieni, baciare di sfuggita una sconosciuta al buio, l’imbarazzo quando pensavi di conoscere qualcuno, ma in realtà ti sei sbagliato. Un sacco di cose, in quegli scarsi tre minuti: un’orchestra suona la canzone della tua fagocitante adolescenza, una donna ti ricorda di essere un po’ romantico ogni tanto, ma non ci fai caso, pensi alla stimolante vergogna che hai lasciato nei pantaloni, e insieme ridete del prosaicismo dilagante. Ma
John, lui sì che ne sapeva un sacco, ha rilanciato con una pièce da
4 minuti e 33, in cui il silenzio, il solo silenzio dell’analogia umana riempie il vuoto imbarazzante della sala d’aspetto, della sigaretta con recentissimi ex-sconosciuti, che gli chiedo? Chi cazzo è? È arte, arte e musica, nei suoi capelli unti, o curati e sensuali, nel suo maglione alla moda orrenda o nei tacchi da cornamusa sgraziata, e nella sua taciturna bellezza.