Big beat
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2023-01-14
Il ring elettronico del Big Beat
Il Big Beat nacque alla metà degli anni 90 in Inghilterra come sottogenere di una certa musica elettronica di cui Fatboy Slim era il capofila di una lista che comprendeva anche i Chemical Brothers e i Prodigy. Si tratta di una variante della musica techno che si caratterizza per la presenza di elementi di rock psichedelico con inserimenti di soul, funk e jazz. A quell’epoca la musica disco era molto convenzionale e come sempre accade in questi casi emerse una controtendenza che aveva l’esigenza di mostrare un aspetto molto più sfacciato, mantenendo però sempre la voglia di fondo di far ballare con ritmi sempre più incalzanti. Si dice che il primo a chiamare così quel genere di musica fu Norman Cook che aveva un locale chiamato Big Beat Boutique Club dove si suonavano stili del genere.
In pratica si trattava di usufruire delle strutture melodiche del pop per fornire una base accattivante e melodicamente sicura, ma affiancate da una potenza sonora che sorpassava molto quanto proposto all’epoca. I campionatori hanno sicuramente aggiunto quel quid che serviva a catturare l’attenzione di gente che voleva ballare, e per questo serviva l’utilizzo di ritmi serrati e ben cadenzati, ma anche trovare sicurezza in aspetti melodici che ricordavano grandi successi o musiche conosciutissime; ciò è servito anche a fornire un aspetto più commerciale ad un genere che era partito quasi come una rivolta contro il pop commerciale. C’è stato da superare certamente l’ostacolo dei diritti d’autore per i campionamenti inseriti in quei lunghi brani, ma l’industria discografica ha trovato il modo.
Fatboy Slim, nei suoi concerti, usa per esempio il riff originale di Satisfaction dei Rolling Stones così come altri brani famosi di vari artisti (ricordiamo Riders on the Storm dei Doors) che donano quel senso di familiarità che attira magari anche chi non conosce bene l’originale. Oggi dobbiamo dire che il termine è usato sempre più raramente, sostituito dalla semplice parola ’elettronica’ che la critica musicale adopera per la descrizione di un sound che si è aperto molto a parecchie influenze, mantenendo però come sua essenza di base l’accentuazione del battito.
In pratica si trattava di usufruire delle strutture melodiche del pop per fornire una base accattivante e melodicamente sicura, ma affiancate da una potenza sonora che sorpassava molto quanto proposto all’epoca. I campionatori hanno sicuramente aggiunto quel quid che serviva a catturare l’attenzione di gente che voleva ballare, e per questo serviva l’utilizzo di ritmi serrati e ben cadenzati, ma anche trovare sicurezza in aspetti melodici che ricordavano grandi successi o musiche conosciutissime; ciò è servito anche a fornire un aspetto più commerciale ad un genere che era partito quasi come una rivolta contro il pop commerciale. C’è stato da superare certamente l’ostacolo dei diritti d’autore per i campionamenti inseriti in quei lunghi brani, ma l’industria discografica ha trovato il modo.
Fatboy Slim, nei suoi concerti, usa per esempio il riff originale di Satisfaction dei Rolling Stones così come altri brani famosi di vari artisti (ricordiamo Riders on the Storm dei Doors) che donano quel senso di familiarità che attira magari anche chi non conosce bene l’originale. Oggi dobbiamo dire che il termine è usato sempre più raramente, sostituito dalla semplice parola ’elettronica’ che la critica musicale adopera per la descrizione di un sound che si è aperto molto a parecchie influenze, mantenendo però come sua essenza di base l’accentuazione del battito.
Tag: big, beat, fatboy, chemical, prodigy, elettronica
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